Completata la triade di report speciali dell’IPCC: un focus sul secondo, “Climate Change and Land”

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Di Luca Rossi
Ad ottobre 2018 l’IPCC ha pubblicato il rapporto “Global warming of 1.5° C”, il primo dei tre report speciali, programmati nel 2016 sulla base delle proposte di governi e organizzazioni internazionali, da cui sono emersi numeri tanto importanti quanto preoccupanti; ad agosto 2019 il Panel ha dato alla luce il secondo dei tre, “Climate Change and Land”; di fine settembre è il terzo ed ultimo, “Ocean and Cryosphere in a Changing Climate”.
Pubblicato a ridosso delle ferie estive e in un periodo piuttosto caotico per la scena politica italiana, il 7 agosto scorso, il rapporto “Climate Change and Land” sui cambiamenti climatici, sulla desertificazione, sulla degradazione del suolo, sulla gestione sostenibile del suolo stesso, sulla sicurezza alimentare, e sui flussi di gas serra negli ecosistemi terrestri, probabilmente non ha avuto la risonanza che avrebbe meritato.
Alcuni numeri: provenienti da 52 Paesi in tutto il mondo, al report hanno collaborato 107 esperti tecnici e scientifici, il 53% dei quali, dettaglio non di poco conto, rappresentanti di Paesi in via di sviluppo; le donne hanno costituito il 40% degli autori. Per la stesura del rapporto sono stati presi in considerazione più di 7.000 studi e sono stati integrati 28.275 commenti.
I ricercatori dell’IPCC hanno focalizzato l’attenzione sul piano locale e territoriale, individuando come attore protagonista della resilienza rispetto ai problemi ambientali proprio il territorio, il quale, concepito e inteso come una moltitudine di ecosistemi biotici e abiotici, è sempre di più influenzato dalla presenza dell’uomo. Infatti, emerge dal report, “l’agricoltura, la selvicoltura e altri tipi di utilizzo del suolo rappresentano il 23% delle emissioni umane di gas a effetto serra. Allo stesso tempo, i processi naturali terresti assorbono l’anidride carbonica equivalente a quasi un terzo delle emissioni di CO2 da combustibili fossili e industria”.
Tornando a ribadire che l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media globale sotto i 2 °C può essere raggiunto soltanto riducendo le emissioni di gas serra da tutti i settori produttivi, compresi la gestione del territorio e la produzione e consumo di cibo, l’IPCC ricorda anche come la Terra debba rimanere produttiva al fine di assicurare la sicurezza alimentare all’aumentare della popolazione e dell’impatto negativo dei cambiamenti climatici sulla vegetazione. Questo significa che ci sono limiti al contributo della Terra nell’affrontare il cambiamento climatico, ad esempio attraverso la coltivazione di colture energetiche e il rimboschimento, poiché si deve tenere conto del tempo necessario affinché gli alberi e i terreni possano immagazzinare carbonio in modo efficace. L’energia derivante da biomassa deve essere gestita con molta cura, per evitare il degrado del suolo, rischi per la sicurezza alimentare e la biodiversità.
Ancora, il report ci ricorda che quando il Pianeta viene degradato, diventa meno produttivo, imponendo limitazioni su ciò che può essere coltivato e riducendo la capacità del suolo di assorbire carbonio. Questo aggrava il cambiamento climatico, mentre il cambiamento climatico a sua volta aggrava il degrado del suolo, in svariate modalità.
Il raggiungimento dei risultati, quindi, dipenderà dall’adeguatezza delle politiche e dei sistemi di governance adottati a livello locale.
In un documento, disponibile a link https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/2019/08/Edited-SPM_Approved_Microsite_FINAL.pdf, sono riassunte le linee guida per i decisori politici organizzate in quattro punti: A) Persone, territorio e clima in un mondo in riscaldamento; B) opzioni di strategie di azione in risposta di adattamento e di mitigazione; C) messa in pratica delle opzioni di reazione; D) azioni a breve termine.

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