di Martina Valentini
Una tappa utile ma non sufficiente: nella storia della riforma PAC potrebbe essere ricordata così la riunione informale del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura europei, svoltasi a inizio settimana a Dublino, seguito da vicino dai giornalisti dell’ENAJ, presenti nella capitale irlandese per il meeting annuale, e della delegazione UNAGA.
Un appuntamento importante perché ai lavori del Consiglio hanno preso parte anche esponenti del Parlamento europeo, l’altra istituzione coinvolta nel processo di approvazione della riforma che dovrebbe rivoluzionare le linee guida della Politica agricola comune fino al 2020: oltre al presidente della Commissione parlamentare per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale, Paolo De Castro, hanno preso parte ai lavori irlandesi i relatori dei quattro fascicoli di riforma PAC (tra loro anche l’italiano PPE, Giovanni La Via) e i coordinatori dei vari gruppi parlamentari europei.
“Un significativo scambio di idee, utile a comprendere meglio le rispettive posizioni su alcune delle questioni politiche cruciali ancora in sospeso”, lo ha definito il presidente di turno del Consiglio, il ministro irlandese Simon Coveney, determinatissimo a condurre in porto la riforma durante il suo semestre di presidenza. E anche il suo omologo italiano, Nunzia De Girolamo, parlando all’ANSA ha ammesso: “Abbiamo parlato in maniera molto schietta delle criticità e dei punti di forza e c’é una volontà unanime da parte di tutti i ministri degli Stati membri di trovare una soluzione sulla riforma della Pac entro giugno”.
Ma i buoni propositi e i confronti schietti tra le istituzioni coinvolte potrebbero non essere sufficienti a varare la riforma entro un mese. Ad ammetterlo Paolo De Castro, secondo il quale “nonostante gli avanzamenti non abbiamo raggiunto alcun accordo sulle questioni di maggior peso”. Quasi una pietra tombale sull’ottimismo di Coveney e De Girolamo: “Spostare gli argomenti più problematici alla fine del confronto farà sì che i tempi si dilatino e sarà estremamente complicato raggiungere un compromesso per la fine di giugno”.
I nodi da sciogliere sono sempre gli stessi: la quota di risorse comunitarie da destinare alla PAC, (ancora oggi la principale voce di spesa del bilancio europeo), il sistema dei pagamenti diretti e l’incidenza che avrà il greening. È proprio questo strumento, studiato dal commissario europeo all’Agricoltura, Dacian Cioloş per assicurare la conservazione della biodiversità, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la tutela dei suoli coltivabili, a creare grandi tensioni tra gli Stati del Nord Europa (Germania in testa), caratterizzati da appezzamenti agricoli di grandi dimensioni e gli Stati mediterranei in cui la superficie media delle varie proprietà agricole è molto più bassa. Al Greening sarebbe infatti collegato una quota rilevante del premio riconosciuto agli agricoltori in base alla nuova PAC. “Per le aziende italiane – spiega al mensile economico Valori Pietro Sandali, capo dell’area economica di Coldiretti – la cui superficie media è di 7 ettari, destinare il 7% del terreno ad aree ecologiche, produrrebbe un aumento di costi insostenibile. In più, l’obbligo di diversificazione, per come è scritto, non porterebbe nessun vantaggio né dal punto di vista agronomico né ambientale. Diversificare infatti non significa far ruotare le colture ma solamente suddividere fra tre prodotti le aree coltivabili.”
Una preoccupazione sposata dal relatore italiano La Via, che sottolinea: “Con il ministro De Girolamo abbiamo definito gli obiettivi comuni per tutelare i nostri agricoltori, ad esempio riducendo l’impatto del greening e rendendo il sistema dei controlli meno complesso e più snello. Ci attendiamo risposte sul fronte delle risorse a disposizione per capire quanto del bilancio europeo 2014-2020 verrà riservato alla spesa agricola”.