Di Alessio Mingoli
Oggi per la nostra serie di articoli su “natura e cultura” vogliamo dedicarci alle tradizioni legate al cibo e al bosco. Abbiamo quindi intervistato Valeria Margherita Mosca, che grazie al sito “Wooding” diffonde la cultura della raccolta del cibo spontaneo oltre che promuovere la riscoperta dell’importanza del rapporto uomo-foresta.
In realtà c’è molto di più e ce lo spiega la diretta interessata nella prima parte di intervista che pubblichiamo oggi.
Aprendo il vostro sito ci si ritrova in un mondo di opportunità legate alla cultura del bosco e le sue relazioni con la sfera umana. Come definiresti in poche parole quello che fate?
Wooding è un vero e proprio laboratorio scientifico che si occupa di catalogare sotto il punto di vista chimico/nutrizionale il cibo selvatico, prettamente vegetale, presente sul pianeta.
Non lavoriamo solo in Italia ma collaboriamo anche con molte realtà estere come ad esempio l’università di Berkeley in California che ha un Dipartimento che studia specificatamente questo argomento.
Ci occupiamo inoltre della divulgazione della cultura del cibo selvatico in molti modi, partendo dalla formazione sia amatoriale che professionale, attraverso consulenze elaboriamo prodotti a basso impatto ambientale, non solo tradizionali ma anche edibili, le cosiddette food forest.
Abbiamo inoltre molti progetti istituzionali che divulgano la cultura del cibo selvatico e del foraging, l’arte di raccogliere il cibo selvatico, cercando alcune volte di re-instaurare il rapporto sinergico tra uomo e foresta contestualizzandolo nel tempo.
Abbiamo ad esempio il progetto “Thinking like a Forest”, condiviso con ERSAF e localizzato nelle foreste lombarde certificate, che si pone l’obiettivo di recuperare aree ex-agricole abbandonate, spesso montane (ex alpeggi) e in contemporanea di fare formazione ai giovani delle stesse aree sul foraging, cercando di trasmettere il valore della sinergia uomo-foresta.
Purtroppo l’abbandono delle aree agricole come gli alpeggi crea dei grandi danni sia a livello culturale che ecologico, facendo scomparire una grande fetta di biodiversità da un habitat seppur semi-antropizzato, a causa del fenomeno della “discesa del bosco”.
In questi casi noi, dopo aver ripulito l’alpeggio, andiamo a re-innestare da seme selvatico le stesse piante che ci crescevano prima del loro abbandono, dando una mano alla biodiversità a ritornare ad uno stato vicino a quello originale.
Tra l’altro nella maggior parte dei casi si tratta di specie edibili, quindi abbiamo creato un nuovo modello di azienda agricola che può mettere sul mercato ortaggi fortemente rappresentativi del territorio e che hanno una grande richiesta dall’alta gastronomia.
Nel contempo stiamo cercando di inserirci in alcune scuole, ad esempio siamo in una fase di test nell’area montana della Bergamasca, a Clusone, dove i giovani tendono ad abbandonare il proprio territorio dopo gli studi perché non riescono a vedere in esso una risorsa, come spesso accade in molte altre aree montane.
Abbiamo insegnato foraging sei ore alla settimana in un istituto agrario e alberghiero per tutto l’anno e i risultati sono stati sorprendenti: una grande fetta degli studenti che statisticamente avrebbero abbandonato i loro territori, hanno imparato a riconoscere l’ambiente circostante come una ricchezza, inventandosi delle attività imprenditoriali correlate che sono andate a riaccendere il tessuto socio-economico e turistico dell’area nel rispetto più totale dell’ambiente.
In sintesi quello che ci preme comunicare è che la foresta non è solo “legno” o “passeggiate”, ma un insieme infinito di cultura e risorse ed è fondamentale per l’uomo recuperare il rapporto sinergico con essa, smettendo di vedere le sfere “naturale” e “umana” come separate.
In questo periodo di pandemia globale si parla molto di come le vacanze estive 2020 potranno essere all’insegna della montagna come alternativa alle spiagge affollate. Pensi che questa possa essere un’opportunità per far scoprire a sempre più persone l’importanza delle foreste anche in ambito alimentare? C’è dall’altra parte il rischio dell’esplosione di un turismo di massa (nell’accezione negativa del termine)
Sicuramente il rischio c’è. A tal proposito dovrebbero intervenire le comunità montane locali mettendo dei numeri chiusi, regole ferree e controlli.
Quello che noi possiamo fare e che faremo è una serie di iniziative basate sul modello di turismo eco-sostenibile. Organizzeremo dei “camp” immersi nella natura, in alpeggi abbandonati, senza elettricità e acqua corrente ma comunque confortevoli ed adatti a tutti, grazie anche ad una serie di bellissime tende fornite da una nota azienda inglese di prodotti da campeggio Eco-sostenibili.
I partecipanti avranno poi l’opportunità di partecipare a corsi di foraging, di botanica, di esplorazione ambientale, di avvicinamento all’habitat, di alpinismo e discipline outdoor, tutto nel massimo rispetto dell’ambiente in cui ci troviamo. Quest’anno continueremo anche con la nostra offerta formativa, in parte oltretutto gratuita, per la scoperta e il mantenimento delle foreste ERSAF di Lombardia.
Con loro proporremo corsi di esplorazione ambientale in bicicletta, di foraging attraverso percorsi di hiking o trekking, percorsi per bambini di botanica ed esplorazione ambientale.
Troverete continui aggiornamenti nel nostro sito: https://wood-ing.org/